Queste notizie mi fanno provare un dolore acutissimo; sento le viscere strapparsi e sciogliersi nel calore della rabbia e della sofferenza.
Non apro mai gli articoli: la sola lettura dei titoli mi sconquassa. E le conto, queste notizie. E rabbrividisco.
Il padre dice di essere felice che sia stata fatta giustizia.
Io continuo a pensare che una ragazza non c’è più. Io continuo a pensare che non c’è più perché la bestialità dell’uomo ha vinto ancora una volta. Io continuo a pensare che le sue ultime ore le ha passate in un abisso buio e profondo, sola.
La giustizia dei tribunali, ammesso e non concesso che la pena capitale possa definirsi giustizia, non le restituirà la vita e non restituirà lei a chi le voleva bene.
Non ci sono domande e non ci sono risposte.
Pochi sanno che l’India è prima nella speciale, atroce, classifica dei paesi più pericolosi per le donne, dove la violenza nei loro confronti è quotidiana. Nel 2003 ho lavorato a Bangalore per oltre 6 mesi e, tra i miei compiti, c’è stato quello di automatizzare tutto il settore trasporto per il personale dell’azienda per la quale lavoro: all’epoca erano circa 35mila persone da prendere e riportare sotto casa, su 3 turni 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana.
Avventura complessa per l’assenza all’epoca di mappe digitale, di toponomastica e di riferimenti precisi (alcuni luoghi venivano chiamati in modo differente dalle varie etnie e caste).
Uno degli algoritmi che ho volutamente imposto è quello che avevo definito “Alt-12” dalla sequenza in tastiera che corrisponde al simbolo femminile: in nessun caso una donna doveva rimanere da sola in un mezzo di trasporto con più di un uomo o solo con l’autista. Se mastichi un po’ di calcolo fattoriale puoi ben capire l’impatto del “protocollo Alt-12” su una media di 9mila viaggi viaggi giornalieri con mezzi dai 4 ai 50 posti: me ne son fregato di complessità e di costi, usando la mia autorità (e la mia cultura) per garantire sicurezza migliore alle donne che lavoravano per noi.
La condanna è giusta, anche se sono contrario alla pena capitale: speriamo solo che la morte di questa povera ragazza serva a far crescere una cultura differente, anche se ci vorranno generazioni ….
La violenza, in molte sue forme, contro le donne in India è nota: anche retaggio culturale? Sì, probabilmente sì: una donna di per sé non è mai valsa molto, anzi è stata sempre considerata un costo (neonate soppresse, vedove bruciate).
Da qualche tempo arrivano anche notizie di violenze e abusi che sembrano al di fuori della logica (indiana) della donna “peso” per una famiglia, che comunque purtroppo, direi, continuano a rientrare nel quadro del valore assolutamente nullo dato alla sua persona.
Tanti espisodi di violenza sessuale, di gruppo, su bambine: è orrendo.
L’abuso e la violenza sessuale rappresentano un particolare modo brutale di essere violenti contro le donne: non è solo picchiarle (inammissibile), ma è strappar loro e calpestare il loro appartenere all’universo femminile; è privarle della bellezza del loro essere. E’ umiliarle gridando loro in faccia che sono feccia. Penso che ti ricordi gli stupri della guerra di Bosnia, per restare vicini a noi.
Leggo con piacere che tu hai potuto fare qualcosa perché qualche donna laggiù forse non corra pericoli viaggiando: è molto bello. Che tu abbia speso tempo, cultura e soldi per creare qualcosa in loro favore, che le tenga un po’ più al sicuro, è davvero generoso. Grazie.
Non so se nello spazio della mia vita riuscirò a non leggere più notizie simili, dubito.
Così come dubito di riuscire a non leggere più che ci sono state condanne a morte: anch’io sono contraria alla pena capitale, credo che non serva assolutamente a nulla. Anzi.