Uomini e donne, senza Maria De Filippi

Ultimamente ho letto qua e là post e articoli che mi hanno illuminata: parlano di donne, di relazioni uomo-donna, di come si pongono le donne di fronte agli uomini, di come gli uomini percepiscono le donne.

Qual è stata l’illuminazione? Che parliamo molto di uomini e donne o uomini vs. donne, ma poco o niente di persone.

Molto di questo parlare ha un significato, ma molto si mantiene tra il serio e il faceto, rimanendo in quella terra di nessuno che autorizza a ridere di chi si irrita e a dare una sorta di autorevolezza a chi dibatte.

Parlare veicolato dai media. Media che hanno una responsabilità sociale. Tutti e sempre.

Lo dicevo in un commento a questo post di Personalefemminile: spesso vengono proposti “dibattiti” già sessisti nell’impostazione, favorendo così discussioni sterili che finiscono nell’ironia quando va bene, nell’idiozia quando va male.

I media hanno un grande potere, possono guidare, indirizzare, modificare il sentire sociale, sul lungo periodo. Dobbiamo esserne consapevoli.

Questa genderizzazione spinta mi urta in maniera totale. Ogni volta.

Io penso a me stessa come ad una persona prima che come ad una donna. Tendo a non categorizzare sempre in uomini e donne, maschi e femmine. Tendo a pensare alle persone, prima, e al genere, eventualmente, dopo.

Le scelte che ho fatto sono dipese da tanti fattori, non dal mio appartenere ad un genere piuttosto che ad un altro. Le rinunce che ho fatto sono state frutto di riflessioni con me stessa in condizioni date e contingenze particolari e non sono dipese dal mio appartenere ad un genere piuttosto che ad un altro.

La trasmissione radiofonica che ha ascoltato Personalefemminile, forse, voleva essere scherzosa; trovo che invece abbia reso un pessimo servizio, non alle donne, ma alla società civile tutta che così, ancora per un pezzetto di strada, si autoalimenta di idee retrograde e pericolose.

Questo approccio pseudo-simpatico a una questione importante viene continuamente tenuta viva, ad arte, dai mezzi di comunicazione. E’ ora di finirla.

Penserete che suoni stonata questa levata di scudi dal mio pulpito di casalinga, ma non lo è.

Sono profondamente consapevole che essere casalinga sia pericoloso: le casalinghe non sono retribuite per il lavoro che fanno e questo le mette in una posizione di dipendenza. Lo so che per molte è stato ed è così. Sono anche profondamente consapevole che esiste il rischio che la libertà che una casalinga crede di avere sia frutto di una concessione dell’uomo con cui vive e non una vera libertà. Perché, volenti o nolenti, molta parte di libertà passa per i soldi.

Lo stesso, voglio dire che essere casalinghe può anche essere il risultato di scelte e riflessioni d’insieme su un progetto di vita, che la libertà può anche non essere concessa, ma essere vera libertà quando l’unico stipendio che entra in casa è, naturalmente, lo stipendio di tutti e due, uno che lavora in ufficio un’altra che lavora in casa.

La casalinga lavora. Non viene retribuita da terzi, com’è ovvio… e quale terzo dovrebbe pagarla se il suo lavoro serve alla famiglia e non ad un’azienda?

Bisogna avere il coraggio e la lungimiranza di vedere oltre lo stipendio, altrimenti non si riuscirà ad uscire dal pantano degli stereotipi della casalinga geisha e della manager virago carrierista.

Perché io li vedo per quello che sono, stupide semplificazioni stereotipate, ma purtroppo molti, uomini e donne, ancora li vedono come categorie filosofiche di come funziona il mondo.

Che i media facciano un esame di coscienza. La nostra società ha un disperato bisogno di persone, non di generi, ma un bisogno davvero profondo.

Vi racconto una storia, vera.

Un amico di mio marito lavorava per una società di consulenza che da anni lo teneva dislocato presso una grande azienda multinazionale (prassi comune: le grandi aziende invece di assumere tengono a dimora consulenti costosissimi); la moglie era invece dipendente di questa grande azienda multinazionale. Due bambini piccoli. Lui per tanto tempo in grande e palese difficoltà con il suo “capo”, diciamo pure mobbizzato, lei con lavoro tranquillo. La grande azienda multinazionale, ad un certo punto, ristruttura: sapete tutti che cosa vuol dire. A lei viene detto senza giri di parole che per mantenere il lavoro deve trasferirsi in Lussemburgo. Lui fa consulenza da mobbizzato. Ne hanno parlato. Lui si è dimesso dalla società di consulenza, lei ha accettato il trasferimento in Lussemburgo, lei lavora e lui fa il casalingo, bada alla casa e cresce i bambini. Ultraquarantenni. Hanno superato gli stereotipi stupidi e hanno scelto il progetto della loro famiglia, sopra ogni altra cosa.

Ognuno deve poter scegliere il proprio progetto di vita senza sentirsi sminuito nel proprio valore e nella propria importanza sociale da stereotipi sessisti. Stereotipi che fanno male sì alle donne, ma soprattutto alla società nel suo complesso.

Io sono una casalinga e non sono una geisha. Io sono stata un’impiegata e non sono stata una virago carrierista.

Se vi va e se non l’avete già fatto, leggete questi due libri:

Ancora dalla parte delle bambine di Loredana Lipperini, ed. Feltrinelli
e
Extraterrestre alla pari di Bianca Pitzorno, ed. Einaudi Ragazzi

 

 

 

 

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Quando una donna si sveglia, le montagne si muovono Proverbio cinese
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2 risposte a Uomini e donne, senza Maria De Filippi

  1. vagoneidiota ha detto:

    C’è amarezza nella tua scrittura.
    Un caffè?

    • ogginientedinuovo ha detto:

      C’è amarezza. Questo atteggiamento “battutaro”, che vuol essere simpatico, comunque dice ancora che siamo lontani dal considerare la persona in sé, e non per il suo genere o per il suo conto in banca o per il potere che ha. Sminuisce anche la risata nel posto sbagliato.
      Caffè? Già un paio 🙂

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